Stella sta dormendo. La testa reclinata sul seggiolino dell’auto, i ricci biondi scomposti, il ciuccio in bocca: è l’immagine della serenità. Mamma Romina e papà Lucio l’hanno attesa a lungo. E’ stata una bimba fortemente voluta ed oggi è il suo futuro a preoccuparli di più.
Casa è inagibile: non tanto per i danni subiti, quelli pare siano riparabili, Spelonga, il paese dove viveva questa famiglia, è forse quello che ha subito meno danni. Il vero problema è il rudere a fianco alla loro abitazione che minaccia di crollare da un momento all’altro distruggendo ciò che incontra sul proprio cammino.
Era pericolante già prima del terremoto, ma ora è come imploso riversando una quantità di terra e macerie che arriva sino davanti alla porta di casa. Romina e Lucio stanno tutt’ora impazzendo fra mille pratiche burocratiche per far sì che il rudere venga smantellato e cominciare così qualche lavoro che potrebbe mettere in sicurezza casa loro. Quella stessa casa finita di ristrutturare appena due anni prima del terremoto.
Dicono che non ci sono i mezzi, così rispondono i Vigili Del Fuoco. Eppure le escavatrici non mancano, le vediamo lavorare a pieno ritmo in questi borghi ormai disabitati. E’ la burocrazia, quella che rallenta le cose, che non permette alle famiglie di tornare a vivere nei loro paesi, quella stessa burocrazia che promette le nuove casette in legno da mesi ma che ancora non consegna. Romina comunque non è arrabbiata: lei e il marito appaiono sereni, solo, ecco, un po’ stanchi. Stanchi perché non hanno riposo: dalle prime notti in auto, alla tenda condivisa insieme a Enza e famiglia, anche loro di Spelonga, per finire poi in Hotel.
Mentre finiamo di parlare Stella si sveglia: papà la prende in braccio e la porta fuori casa. La bambina appare turbata. Certo si è appena svegliata, ma non è solo questo. Romina mi spiega che a 4 anni e mezzo è una bimba già molto consapevole. Capisce quello che è accaduto e quel posto ora le fa paura. Quello stesso prato davanti casa, dove raccoglieva insieme a nonna la camomilla da far essiccare, e che, ironia della sorte, profuma l’aria intorno a noi, ora è un luogo spaventoso.
Stella non vuole camminare: per tutto il tempo resta in braccio a papà e poi a mamma, non alza lo sguardo verso la casa, piuttosto si concentra su una girandola che le porge papà, e poi su un fiore. Non guarda verso casa Stella: quando è a San Benedetto, al sicuro, in hotel, scherza sul terremoto: salta sul letto, e mentre il materasso trema lei urla e ride e dice
“mamma mamma, guarda, il terremoto!!!”.
Ma li, dove è successo, non c’è spazio per il gioco. Quattro anni e mezzo sono troppo pochi per avere paura della vita. A quell’età il mondo deve essere una festa di scoperte e nuove sensazioni, di giochi spensierati e coccole dei genitori. Ma a Stella la terra ha tremato sotto i piedi, anzi, come dice Romina, ha “fritto”, e da allora non è più lo stesso.
Ha promesso a mamma che butterà il ciuccio quando la porteranno a casa, che scaverà una buca e ce lo butterà dentro, ma ora no, è presto, Stella ha ancora bisogno di sentirsi al sicuro. Quando ci salutiamo Romina mi dice che in fondo questa esperienza è stata qualcosa di importante, è sicura che per Stella, un domani, sarà qualcosa di formativo, che la aiuterà a superare le difficoltà. Ora però è tempo di tornare nell’unico posto dove si sentono davvero al sicuro: una stanza d’hotel e il parco dove Stella gioca con gli altri bambini e gli educatori dell’Albero della Vita. Se qualcosa di positivo c’è stato, mi dicono Romina e Lucio, sono gli incontri con le persone che dopo quella maledetta notte non li hanno mai lasciati soli.
Li guardo andare via e penso che mi piacerebbe esserci quando Stella scaverà una buca e sotterrerà il ciuccio, una volta e per sempre, insieme a tutte le sue paure.