Mercoledì 15 novembre 2017 si è svolta a Roma presso la Camera dei Deputati nella nuova Aula dei Gruppi Parlamentari la conferenza ITALIA: POVERI BAMBINI Per una definizione di bisogno che riscriva le regole dell’aiuto.
Un appuntamento che abbiamo creato in collaborazione con Human Foundation, Alleanza contro la povertà, Ordine Assistenti sociali – Consiglio nazionale e con la partnership pedagogica di Fondazione Patrizio Paoletti per immaginare una nuova via nel rispondere ad esigenze sempre più impellenti
Non vogliamo salvare i bambini ma vogliamo che i bambini ci aiutino a salvare noi, questo deve essere un punto di vista fondamentale e con il tempo dobbiamo ricomprendere che al centro ci sono veramente i bambini, non tanto gli strumenti che aiutano a salvarli
Ivano Abbruzzi, Presidente di Fondazione l’Albero della Vita è stato intervistato da Luca Borriello sulla riuscita di questo importante evento.
Quale è il valore di una conferenza dedicata ad un tema così delicato come quello della povertà, soprattutto per i suoi effetti sul benessere dei bambini, e come si è evoluta la percezione di questa problematica negli ultimi anni?
Il senso della conferenza è certamente legato a spostare l’attenzione perché il tema della povertà minorile è indiscutibilmente ancora sottostimato dalle istituzioni e da chiunque abbia ruolo di decisore politico, a vari livelli. Il numero enorme di minori in povertà ci dice che siamo di fronte ad una emergenza sociale attuale e ad un problema di sostenibilità sociale futura decisamente senza precedenti, dal Dopoguerra in avanti. E se ciò fosse ben percepito, ci sarebbe in verità un’attivazione d parte di forze politiche e forze sociali di tutt’altro ordine. Quindi, un’occasione come la nostra conferenza è mirata a ricomprendere bene di cosa si sta parlando, i vari aspetti, molto utile anche per vedere da diverse angolazioni, per altro molto diverse tra loro, che i dati sono molto chiari, evidenti, oggettivi. E ciò non solo rispetto ai numeri della povertà in sé, ma anche rispetto ai numeri degli investimenti che sono spesi a contrasto della povertà minorile, che sono di certo scarsi anche nell’ambito della più ampia sfera sociale tematica; nelle parole di Tito Boeri, presidente dell’INPS, è risultato ancora più chiaro che il grosso degli investimenti va su altre fasce d’età e per atri temi, mentre la povertà minorile in questi anni è cresciuta a tal punto che gli attuali livelli di investimento risultano totalmente sproporzionati in proposito.
Nel 2016, ultimo dato disponibile, Istat riporta che sono 1 milione e 619mila le famiglie in condizione di povertà assoluta, nelle quali vivono 4 milioni e 742mila individui. E sono un 1 milione e 292mila, nel 2016, i minori che vivono in questa condizione, pari a 1 su 8. Cosa rappresentano questi numeri per un’organizzazione come Albero della Vita che fa del contrasto alla povertà uno dei suoi principali obiettivi?
Questi numeri rappresentano certamente un orizzonte di rilevanza del fenomeno di grande importanza. Il ruolo di un’organizzazione come la nostra ha il compito di dare un contributo per cercare di contrastare il fenomeno, per aiutare le persone in difficoltà in modo sempre più centrale e diretto. Ed è dal 2010 circa, infatti, che abbiamo deciso con sempre maggiore convinzione di dedicarci al fenomeno, ed in particolare quello dei minori in povertà assoluta, mentre dal 2015 abbiamo deciso di attivare un programma più organico che affronta la povertà anche all’interno del nucleo familiare, inteso che prima lavoravamo principalmente per contrastare gli effetti della povertà educativa minorile. Oggi guardiamo alla famiglia come un insieme in difficoltà, che include i minori, e nel proposito di un percorso di riscatto dalle condizioni concrete di povertà. Il nostro lavoro è dunque consapevole dell’enormità dei numeri, ma è fondamentale che si renda un contributo appropriato, effettivo e soprattutto di senso, di metodo, ben centrato su principi di efficienza e secondo metriche d’impatto valutabili. Questa è la formula che sollecita anche i più alti ed ampi livelli istituzionali ad acquisire conoscenza e competenza, prassi e risultati degli interventi sulle comunità.
Per questa conferenza, FADV pone l’accento sull’importanza dell’“approccio” quando si parla di contrasto alla povertà. Quanto fondamentale è mettere in campo una giusta metodologia nell’affrontare un tema così delicato?
Sulla povertà, dopo anni e anni di lavoro in ambito anzitutto assistenziale, questo tempo ci dice che dobbiamo operare in direzione del cambiamento; da un lato, la necessità di affrontare le disuguaglianze sociali, che certamente rappresentano la base di molta parte della povertà; dall’altro, in parallelo, sondare ancora di più nel profondo le ragioni della povertà, le radici della cui questione e del possibile scioglimento probabilmente vanno individuate nel singolo individuo, sul quale si punta la scommessa di una trasformazione, della generazione di un benessere, di un potenziamento delle ambizioni dell’individuo e delle capacità di realizzazione. Per cui, qualsiasi metodo si adoperi, per noi è fondamentale raggiungere proprio le persone, che sono singolarmente i veri artefici del cambiamento all’interno del nucleo familiare; e parliamo subito anche dei bambini, chiaramente, che sono già lanciati al futuro, che avranno il potere di incidere nella famiglia e nella società. Per cui, è alle persone ci rivolgiamo, individualmente, quasi per personalizzare le chance di uscita dalla condizione di povertà, con sostegni materiali, orientamento al lavoro, socializzazione delle capacità e molto altro.
Famiglia e lavoro, due categorie necessarie, spesso complementari, per un percorso di riscatto sociale e di reale superamento di una condizione di disagio economico. Come si coniugano questi due elementi nella vostra esperienza?
La famiglia è certamente il luogo in cui la povertà si manifesta d incide sulla vita dei bambini. La famiglia, al tempo presente, è in forte crisi, per svariate ragioni, e non è più il solo ambito deputato ad affrontare e cercare di risolvere la povertà. Infatti, è fondamentale che nell’insieme risultino diversi e complementari i punti di vista, gli sguardi operativi, gli approcci, mirati al benessere dei bambini in particolare. Occorre lavorare ad ampio raggio, cercare di migliorare la capacità dei genitori di affrontare il problema e, ad un tempo, incrociare e fortificare pure percorsi che non necessariamente dipartano dal nucleo familiare, come l’ambito scolastico ed il contesto sociale, dove la povertà annida altri suoi elementi critici. Tutto ciò ci parla tanto della dimensione della relazione umana. Per quanto poi concerne il lavoro, questo non va solo considerato come l’elemento che riscatta e solleva dalla condizione di povertà. Piuttosto e chiaramente alla luce delle grandi difficoltà di accesso al mercato del lavoro, ciò su cui oggi occorre puntare è di sicuro la valorizzazione delle competenze individuali, quali esse siano verrebbe da dire, quelle che oggi si chiamano soft skill, le quali correttamente individuate e potenziate possono portare gli individui tanto ai settori lavorativi, quanto a fare autoimpresa, quanto a generare idee nuove e speciali per il futuro proprio e degli altri. Le persone oggi hanno bisogno anzitutto di essere attive, proattive, devono sapere che se ci sono degli ostacoli questi possono essere superati, c’è bisogno di un atteggiamento risoluto, di capacità comunicative, affabilità sociali e coscienza delle proprie vocazioni e dei propri talenti; occorre uno sguardo progettuale verso il lavoro, capace di superare questi eventuali limiti che, in condizioni di povertà generale, portano ad una particolare cecità sul mondo che, solo in quel momento, si sta tenendo fuori portata.
L’Italia ha da poco approvato il Reddito di Inclusione (REI), prima misura unica nazionale di contrasto alla povertà. Misura che, nella visione del legislatore, affianca al beneficio economico un progetto con il nucleo familiare che dovrebbe permettere un reale affrancamento dalla condizione di povertà. Come giudica questa misura? Quali aspetti specifici introduce il REI per i bambini? Cosa manca o come potrebbe essere sviluppato il REI in futuro per renderlo più efficace?
Come spesso di sente dire, anche io considero l’attivazione del REI come un atto di civiltà. Credo che sia una misura dovuta da parte di una società che sta sempre più rendendosi conto del pericoloso allargamento della base della questione della povertà, del benessere economico. È una società che ha generato una classe di poveri, che non ha una chiara percezione dei diritti fondamentali, che infatti non garantisce. Quindi garantire una misura che gradualmente contempli la garanzia di livelli minimi di sussistenza che consentano un’esistenza degna è certamente la migliore prova di civiltà che possiamo oggi auspicarci. Nel merito, possiamo dire che un miglioramento passerebbe di certo per una più precisa focalizzazione dei bambini all’interno dei nuclei familiari oggetto della misura. Poi, altro campo di cambiamento è l’applicazione, perché il disciplinare del REI dovrebbe essere, da un lato, sempre di più aderente alle condizioni di fatto che si danno nella vita di tutti i giorni; dall’altro, le dimensioni progettuali che contempla hanno necessità di coniugarsi con altre dimensioni sociali e lavorative utili al riscatto, livelli tanto complessi quanto di urgente risoluzione. Sono tuttavia fiducioso che questo inizio così importante abbia in sé il seme di un futuro ancora tutto da apprezzare.
L’Albero della Vita, con il programma “Varcare la soglia”, punta alla valorizzazione del potenziale interno alle famiglie in difficoltà tenendo sempre al centro il benessere dei bambini. Da quest’anno questo progetto ha una nuova sede operativa in Calabria che si aggiunge a Lombardia, Sicilia, Lazio e Liguria. Quali i numeri del programma, le iniziative che vengono portate sul territorio, e i suoi sviluppi futuri?
Il nostro programma Varcare la Soglia è la nostra proposta operativa a contrasto della povertà in Italia. Il nostro desiderio è dare certamente un aiuto, ma il nostro contributo vuole essere anche l’occasione utile a sperimentare un modello. Il programma ha vissuto una prima fase che chiamerei di test, dal 2015 al 2017, su diverse città italiane ed in contesti diversificati e molto complessi come Milano e Palermo, lavorando in territori periferici dove si è riscontrato un tasso di criticità sociale ed economica elevato, anche connesso alle dimensioni dell’immigrazione. Questa sperimentazione, tra estremi e differenze del Nord e Sud Italia, insieme ad altre ragioni, ci hanno portato quest’anno ad una completa rilettura dei propositi del progetto, desiderando riscriverlo alla luce della “teoria del cambiamento”, sia nel quadro pedagogico sia nella dinamica progettuale. C’è stato dunque un potenziamento ed un ampliamento, che ci ha portato anche a Genova, a Roma e a Catanzaro, e prossimamente anche a Napoli. Stiamo così raccogliendo importanti sostegni dalle imprese al fine di aiutarci a promuovere questa sperimentazione, e contiamo di applicare il programma in buona sinergia con i Comuni dei territori d’intervento, tanto da auspicare anche un’esperienza che sia significativa ed utile per i servizi sociali stessi. Questo è in sintesi il percorso del nostro programma “Varcare la Soglia”, che contempla un lavoro centrale sulla famiglia, di certo un sostegno materiale alla stessa, non solo di tipo alimentare e soprattutto a favore dei bambini, ma anche e in primo luogo un’opera di nuova conoscenza del nucleo familiare, dei propri propositi, delle proprie vocazioni ed ambizioni, delle proprie capacità forse ancora inespresse e della più alta volontà di cambiamento. Quindi sicuramente una parte di supporto psico-sociale che rilanci la famiglia oltre quei limiti che si ritiene vi siano e che vanno affrontati, insieme, come opera congiunta di risollevamento da una più generale condizione di povertà.