Lo scenario è quello di una guerra civile, i manifestanti sono fuori controllo. E’ emergenza

Dal 7 febbraio sono iniziate delle manifestazioni contro il governo chiedendo le dimissioni del Presidente Jovenel Moise, implicato nel caso di corruzione Petro Caribe (sono scomparsi i soldi destinati ad infrastrutture e grandi opere di ammodernamento del paese).

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Il paese versa in condizioni economiche pessime: negli ultimi mesi il gourde (la valuta ufficiale di Haiti) sta subendo un’inflazione molto forte ed il cambio con il dollaro diventa sempre più sfavorevole. Haiti, essendo un paese importatore, soffre di questa dipendenza dal dollaro che sta riducendo a vista d’occhio il potere di acquisto degli haitiani.

Tutti gli uffici delle ONG e delle ambasciate sono rimasti chiusi ed alcuni hanno addirittura spostato il proprio personale in dominicana o attuate le procedure di evacuazione, partendo dalle famiglie. Le dimostrazioni a Petion Ville (dove ci sono gli uffici di Fondazione L’Albero della Vita) sono state molto violente, con barricate infuocate, tentativi di dare fuoco a negozi e blocco totale della circolazione (le strade vengono bloccate con enormi pietre e copertoni infuocati e se si tenta di forzarle i dimostranti lanciano pietre o sparano). Fonti giornalistiche riportano anche altri problemi molto gravi.

Le proteste si susseguono da mesi a cadenza regolare, ma questa volta la grande differenza sta nel fatto che non sembrano intenzionati a fermarsi ed i moti non hanno coinvolto solo la capitale, ma anche tutte le città minori e le campagne. Le due strade nazionali, che si diramano dalla capitale a nord e a sud e son le uniche strade presenti, sono bloccate dal 7/02 causando grossi problemi alla circolazione di persone e merci.

Nella capitale le zone già solitamente svantaggiate (Cité Soleil, Croix des Bouquets, Port au Prince) sono le zone più calde. Molte manifestazioni sono partite da li, con infiltrazioni di gang armate che hanno saccheggiato negozi e uffici mentre si facevano strada verso Petion Ville (la parte alta della città dove vivono le classi più agiate e ci sono ristoranti e negozi).

Tutta la settimana la capitale è rimasta paralizzata, con tutti i negozi chiusi e le mercanti obbligate a restare a casa sotto minaccia dei gruppi più violenti (le mercanti vivono alla giornata, se un giorno non vendi non mangi, non c’è la possibilità di fare scorte di cibo a casa) che non volevano lasciare che il paese tornasse alla normalità.

I nostri colleghi ci raccontano che da una manifestazione passata a 100 mt. dal nostro ufficio sono arrivate raffiche d’arma da fuoco da far gelare il sangue a tutti.

I colleghi haitiani non sono riusciti a venire in ufficio dall’inizio delle manifestazioni poiché scendere in strata è troppo pericoloso e tutti i partner locali di progetto hanno chiuso i propri uffici e non siamo ancora stati in grado di metterci in contatto con loro.

“La città è a corto d’acqua, di diesel e di propano. I blocchi totali non hanno permesso la distribuzione di carburante alle pompe di benzina, che sono oggetto di attacchi da parte di manifestanti. La tensione è palpabile”. (Silvia Pastorutti: Coordinatrice L’Albero della Vita Haiti)

Il presidente ha mantenuto il silenzio per 7 giorni, e quando ha deciso di parlare pubblicamente l’ha fatto attraverso un messaggio registrato di 8 minuti nei quali ha accusato l’opposizione di partecipare alle manifestazioni al fianco degli spacciatori di droga e delle gang che secondo lui approfittano dell’instabilità per prendere il controllo del paese.

Non ha dato alcun segnale di avvicinamento alla popolazione, affermando che non si dimetterà ma chiedendo il tempo di lavorare allo sviluppo di Haiti. Questo weekend è prevista una tregua che per ora è stata rispettata, da lunedì dovrebbero iniziare nuovamente le manifestazioni e il blocco della città.

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