Turchia e Siria sono state colpite da un gravissimo terremoto di magnitudo 7,8 nella notte del 6 febbraio.

I numeri, in continuo aggiornamento, parlano di una tragedia umanitaria: oltre 41mila vittime. In Turchia sono morte 35.418 persone e sono 1.6 milioni gli sfollati. A queste si devono aggiungere i morti in Siria che, secondo l’ultimo bilancio, sono almeno 5.714 (dati riferiti dal governo siriano e dai ribelli che controllano la maggior parte delle aree colpite).

In queste settimane migliaia di bambini sono rimasti all’addiaccio senza un riparo.

Per questo, sin dalla prima ora, siamo in loco, vicino all’epicentro nella Provincia di Kahramanmaraş, insieme ai nostri partner  Remar S.o.s., Fondazione Progetto Arca Onlus e Fondazione Patrizio Paoletti, per portare loro il primo soccorso, cibo, acqua, cure e protezione. Durante le emergenze infatti sono proprio i bambini i più vulnerabili e indifesi.

In questo momento abbiamo attivato una clinica mobile e una cucina mobile con cui sfamiamo e operiamo le prime cure mediche a chiunque ne abbia bisogno.
Nel frattempo ci stiamo organizzando per strutturare interventi più mirati rispetto ai bisogni che stanno emergendo e anche azioni post emergenziali di medio periodo.

Sul campo per Fondazione Albero della Vita è andata l’operatrice Francesca Ferrini che scrive un diario di viaggio.

Francesca Ferrini

«Sono partita in missione nelle zone terremotate della Turchia, in particolare in una delle aree maggiormente colpite nella provincia di Hatay, la città di Antiochia. L’obiettivo è dare una mano alle associazioni già presenti sul territorio e di cui siamo partner e con lo scopo di osservare e fare una prima analisi del bisogno, in modo da poter raccogliere più dati possibili per poter progettare e realizzare un intervento di supporto alle famiglie nei prossimi mesi».

La città di Antiochia non esiste più, è completamente distrutta, anche nelle zone limitrofe i danni sono stati davvero gravissimi. «Molti si sono spostati in altre zone ospitati a casa di parenti e le persone rimaste sono quelle che non hanno nessun altro luogo dove andare, sono rimaste senza nulla, tutti i loro averi sono in mezzo alle macerie ed alcuni hanno perso persone care e i loro animali», continua Francesca.

Non ci sono negozi aperti dove poter comperare il necessario, le persone sono in cerca soprattutto di scarpe, ciabatte, biancheria intima, assorbenti per le donne. «Non c’è acqua», continua a raccontare, «le persone utilizzano le bottiglie di acqua minerale e le salviette umidificate per lavarsi, tra poco arriverà molto caldo e le malattie causate dalla poca igiene si svilupperanno di più».

Durante la missione «ho conosciuto molte persone organizzate in tendopoli, i bambini non hanno più nessun impegno né scuola, né sport», sottolinea Francesca, «Hanno tantissimo desiderio di giocare e fare attività in gruppo, abbiamo organizzato giochi semplici ma molto divertenti, i bambini sono stati felicissimi e hanno verbalizzato che “gli abbiamo fatto vivere un po’ di allegria”».

Durante la giornata tutti i volontari sono impegnati nella distribuzione dei pacchi alimentari nei vari villaggi, nel distribuire vestiario, nell’offrire costantemente chai caldo, nel parlare e nel giocare, nel preparare e offrire pranzo, cena e pane alla popolazione.

Il popolo di Antiochia spiega infine Francesca, «è un popolo resiliente, forte e grato, nonostante la drammatica situazione. Le persone vivono nella speranza che piano piano la situazione possa migliorare. Di notte si accendono fuochi nei vari villaggi, si cerca un po’ di luce e un po’ di calore attorno al quale incontrarsi e trovare conforto. I ragazzi adolescenti sono forse la fascia maggiormente vulnerabile in questo momento».

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