Il 14 maggio, la festa della mamma, è l’occasione giusta per non dimenticarci dei suoi diritti negati.
Le mamme nel mondo sono circa due miliardi, almeno quante le ragioni per festeggiarle.
Custodi di un ruolo insostituibile in ogni società, quintessenza dell’amore, dispensatrici della comprensione, del sostegno e della consolazione, quest’anno vengono celebrate il 14 maggio.
Per la festa della mamma, infatti, la seconda domenica del mese si trasformerà in un tripudio di fiori, biglietti d’auguri e cioccolatini, per lo meno nel nostro Paese, in buona parte d’Europa, negli Stati Uniti, in Giappone e in Australia. Ma c’è anche chi, come molti Paesi arabi e balcanici e come i nostri “fratelli” di San Marino, ha già festeggiato nel mese di marzo, magari in occasione dell’equinozio di primavera o della festa della donna, e c’è chi lo farà a fine dicembre, come l’Indonesia. Insomma, in tutto il mondo vige un principio: non importa quando e come, ma che almeno una giornata sia dedicata a lei.
Prima di diventare un rito universale e molto sfruttato dal punto di vista commerciale, questa ricorrenza era ispirata da motivazioni profonde e nobili. Le sue origini risalgono al 1870 quando la pacifista statunitense Julia Ward Howe propose di istituire il Mother’s Day for Peace, appellandosi alle donne di tutto il mondo affinché si impegnassero politicamente per la pace e contro ogni forma di schiavitù.
Qualche decennio dopo, all’inizio del Novecento, la connazionale Anna Jarvis organizzò il “giorno della mamma” per onorare la memoria della propria e la sua vita spesa per garantire più diritti sociali ed economici alle donne, per migliorare le condizioni di vita e l’accesso alle cure delle madri e dei loro figli, per ridurre la mortalità infantile.
Questa iniziativa privata attirò le attenzioni dei politici e, pochi anni dopo, il Presidente Wilson decise di riconoscere formalmente la Festa della Mamma.
In molte zone del Pianeta c’è, però, ancora poco da festeggiare. Ogni anno circa mezzo milione di donne, una al minuto, muore per complicazioni durante il parto.
Il 99% di questi casi avvengono nei Paesi in Via di Sviluppo e oltre la metà delle partorienti dell’Asia meridionale e dell’Africa subsahariana dà alla luce un bambino senza l’assistenza di un’ostetrica o di un dottore. Per questo motivo interveniamo in Kenya, un Paese con tassi di mortalità materna e infantile tra i più alti del mondo.
Siamo “entrati” nelle baraccopoli di Nairobi, dove giovani madri e bambini sotto i 5 anni muoiono frequentemente di infezioni, malnutrizione, malaria, aids o per una “semplice” diarrea, e abbiamo attivato il progetto “Mother and child survival” con il quale stiamo portando, baracca per baracca, assistenza sanitaria e nutrizionale e diffondiamo buone pratiche che possano migliorare le loro condizioni di vita.
Le mamme sono nel nostro cuore, tutte. Dal Kenya al Perù, dove con il progetto “Donne andine in cammino” stiamo aiutando le famiglie di una poverissima regione andina a vivere più dignitosamente, imparando a coltivare in modo agroecologico e a vendere il tarwi, un lupino che cresce in quelle vallate. Oppure ad Haiti, dove supportiamo la clinica pediatrica San Franswa dando la possibilità di trovare cure e sostegno psicologico a migliaia di mamme e bambini altrimenti “invisibili”.
E naturalmente in Italia, dove da diversi anni aiutiamo le mamme che hanno “perso la propria strada” a ritrovarla.
Con i progetti “La Rondine” e “Nidi di Rondine”, infatti, lavoriamo con mamme sole che hanno bambini piccoli e che si trovano in situazioni di disagio economico, abitativo e lavorativo. Accogliamo i nuclei mamma-bambino in appartamenti dove, con l’aiuto dei nostri educatori, possono ritrovare gradualmente l’autonomia.
Per ridare loro la gioia e la dignità di essere mamme.