Quando Francesco attraversò per la prima volta il cancello de La Bussola era un bambino senza infanzia, con lo sguardo spento e l’incoscienza dei suoi cinque anni svanita nel nulla. Gli era stata strappata senza pietà da un padre violento e alcolizzato e da una madre assente, ormai anestetizzata alla vita. La prima sera, a tavola con gli altri bambini della comunità, lui non diceva una parola.
Fissava il girasole disegnato nel piatto mentre gli altri scherzavano e si tiravano le briciole del pane. Poi un bicchiere finì per terra. Era un fragore banale per una cucina ma non per i nervi fragili di Francesco. Il suo istinto ebbe il sopravvento. Sussultò e scappò via, lontano e velocissimo. Dopo alcuni minuti di ricerche lo ritrovarono con gli occhi chiusi, rannicchiato in cima a un armadio. “Lasciatemi qui”, riuscì a sussurrare per non abbandonare il suo nido ad alta quota.
Non sarebbe stata l’ultima volta. Nel primo anno trascorso nella casa di accoglienza, infatti, tentò la fuga almeno altre dieci volte, una per ogni rumore o urlo che gli ricordasse la quotidianità senza futuro della sua famiglia; l’ira e le botte che il padre, prima di 28 finire in prigione, riservava alla sua mamma, oppure la cinghia che qualche volta spettava a lui. Con pazienza e capacità, costruite con anni di formazione, attitudine e metodo, gli educatori gli hanno restituito la magia della sua età.
L’hanno coccolato, fatto sfogare, gli hanno offerto un’alternativa di vita. Gli hanno insegnato anche un po’ di giocoleria. All’inizio guardava quelle palline colorate come navicelle spaziali e l’operatore che le faceva roteare in aria come un alieno. Poi è cominciato l’accostamento silenzioso. La mano che si allunga ne prende una.
Il primo lancio. “Bravo!” Un po’ di tentativi a vuoto con due palline. “Bravissimo, continua!”. In un’occasione le palline fanno mezzo giro e ricadono nei suoi palmi. È quanto basta per il tripudio. “Fantastico Francesco!”. Tutti si ricordano che quel giorno sul suo volto è comparsa un’espressione felice. Appena percettibile ma piena. Era la prima volta in due anni! “Allora la vita non è solo paura.
Anche io quindi sono capace di fare qualcosa!”, era la scritta che lampeggiava sulla sua fronte. Francesco ha cominciato a giocare con gli altri bambini della comunità, a confidarsi con Marco, poi con Andrea e David. Ha imparato a scrivere e a leggere. Di più: ha imparato a imparare.
Oggi ho anche capito una cosa fondamentale: è necessario imparare a conoscere se stessi, a osservarsi dall’esterno, a farsi delle domande per capire come si sta “dentro” in modo da trovare le risposte per stare bene “fuori”, con gli altri.
Sono grato per tutti questi “regali” per la mia vita. Gli insegnanti mi spiegarono che una persona che abita molto lontano da qui aveva deciso di aiutare me e altri bambini, per proteggerci da una vita ingiusta. Grazie a questo signore che vive a migliaia di chilometri, in Italia, io avrei avuto il diritto di ricevere l’istruzione in una scuola, due pasti sani al giorno e persino dei controlli medici periodici.
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Francesco e il Nido è la storia illustrata che descrive il progetto di accoglienza minori “La Bussola“ de L’Albero della Vita
Le regole della comunità lo hanno aiutato. Non comandi rigidamente imposti dagli educatori ma inviti, domande per sentirsi parte del gruppo, per fargli capire che le sue opinioni sono importanti, per diventare 29 consapevole di sé e delle proprie capacità. Oggi ha chiesto dov’è la sua mamma. Verrà presto a trovarlo.
Lui non sa che anche lei vive in una casa di accoglienza per riprendersi dagli anni di violenza, ma l’orizzonte si rischiara ed entrambi hanno una possibilità di futuro. Il nido in cima all’armadio non serve più.
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