È entrata nelle loro case, si è fatta raccontare le loro vite travagliate, misere ma colme di dignità, si è stupita, commossa e non ha potuto fare a meno di ammirare il coraggio delle mamme che lottano per garantire un’istruzione ai figli o che si oppongono ai matrimoni obbligati delle figlie quando ancora sono bambine.
È stato un vero oceano di emozioni quello che ha solcato Ilaria durante il suo ultimo viaggio nelle terre indiane del SAD, nelle baraccopoli di Calcutta come nei villaggi immersi nella giungla, dove la vita è davvero diversa rispetto alla nostra.
Lei, che da sempre fa parte della grande famiglia de L’Albero della Vita, ha potuto cogliere ancora una volta il senso più profondo del Sostegno a Distanza e si è sentita per alcuni giorni una sorta di portavoce di tutti i sostenitori italiani.
“Ogni celebrazione, onore, ringraziamento, disegno, abbraccio che abbiamo ricevuto va condiviso con ogni singolo sostenitore che ha reso possibile questa fioritura, per ognuno di questi specialissimi bambini, che sento davvero come figli lontani”
ha scritto nel toccante racconto che ha pubblicato.
Vi invitiamo a leggerlo e a immedesimarvi (qui sotto), per toccare con mano come ha fatto Ilaria cosa accade quando si decide di sostenere un bambino inserito nel programma, quanto cambiamento sostanziale ci sia nella sua vita pratica e nella sua coscienza. Una testimonianza preziosa.
Abbiamo lasciato Calcutta da tre giorni ma nemmeno le meraviglie dei templi antichi di Delhi riescono a far tacere in me un pensiero che bussa costante tra gli altri: hai promesso a tante mamme coraggiose, a tanti bambini splendidi che racconterai di loro, della sacralità dei loro sorrisi, dell’impegno enorme che è loro richiesto per portare avanti quello che noi diamo per scontato; di quanto reali, travagliate, coraggiose sono le loro vite.
Sento una responsabilità grande nel dover testimoniare che se – come era per me prima – immaginate che un Sostegno a distanza sia un gesto poco più che simbolico, invece genera un cambiamento reale, sostanziale, e le loro famiglie qui lontano vivono nella gratitudine, ci portano nel cuore, mi hanno chiesto di ringraziarvi uno per uno, raccontandomi di come le loro vite siano migliori da quando i loro bambini hanno potuto frequentare la scuola. Per un bambino qui andare a scuola non è affatto scontato, e non offre “solo” istruzione, ma cibo, cure mediche, ordine, belle impressioni fuori dalla baraccopoli, modi rispettosi che educano alla gentilezza, insegna un pensiero critico che fa riconoscere (quindi rifiutare) loro ciò che è sbagliato; e di più ancora, insegna loro a diventare massa critica, leader che trasferiscono alla comunità intorno nuove consapevolezze; e poi garantisce un monitoraggio della loro situazione familiare: intercetta situazioni di violenza, di grave deprivazione, impedisce matrimoni precoci.
C’è un ricordo sopra a tutti gli altri che ho stampato indelebilmente nel cuore: è la delicatezza di una bimba che si chiama Shahannara, a lei ho decisamente lasciato un pezzo del mio cuore; la piccola non controlla i suoi gesti, i suoi muscoli, ma quando riesce ad incrociare il tuo sguardo ti dona un sorriso intenso come mai altri ho conosciuto, è come se un tuono impetuoso ti avvolgesse a cancellare ogni pensiero buio.
E poi ricorderò sempre la dolcezza infinita di un cucciolo che si chiama Monoj che è nato esattamente lo stesso giorno e anno di Daniele, il nostro figlio più piccolo. Due vite così diverse, loro così semplicemente complici. Monoj e la sua mamma vivono soli e lei mi racconta che non hanno proprio nulla di nulla. Che il suo bambino non avrebbe mai potuto frequentare la scuola, ne è consapevole e si impegna tanto. Da grande vuole fare il poliziotto.
Poi c’è una ragazzina di nome Regina che ha una voce angelica, e in un villaggio lontano, nella sua casetta grande come un letto con un buco sul soffitto per arrampicarsi al piano di sopra, canta Justin Bieber. Il posto dove abbiamo incontrato altre due ragazzine, nello slum cittadino, non voglio raccontarlo, per una sorta di pudore rispettoso della dignità che mostrano, nell’accoglierti nella loro “casa”, di cui mai potrei rendere l’idea.
Ci sono posti – ho imparato – dove si smorzano perfino i colori. Ricordo tutto grigio di quei momenti. Qui è bastato dire ad una madre che le eravamo grati per aver consentito a sua figlia di continuare a studiare, che era davvero una donna coraggiosa, perché scoppiasse a piangere. Non sono abituate queste donne – ci dicono – a sentirsi riconoscere i loro sforzi; semmai sono considerate pazze, perché rinunciano al reddito che il lavoro o il matrimonio di questi figli porterebbero.
Diversi altri bambini ci hanno ospitato nelle loro umili case, emozionati di poterci onorare con fiori, candele accese, frutti di cui non sapevamo nemmeno l’esistenza. Anche qui ho conosciuto una mamma affidataria: una donna che ha voluto accogliere il bambino disabile nato da una coppia che non ha voluto riconoscerlo, che continua ad incontrarlo ma volta lo sguardo altrove. Questa donna era già promessa in sposa verso una vita più fortunata, ma messa di fronte alla scelta dello sposo o di proteggere questo bimbo ha scelto lui, oggi 14enne. E in questi posti restare single è visto come una specie di maledizione.
C’è un’altra ragazzina che mi hanno presentato, che non ho potuto non abbracciare forte: mi ha raccontato la sua storia di bimba portata in sposa a 12 anni, e il resto – prima che fosse liberata – è troppo truce per poterlo raccontare; anche perché quel che resta oggi è la fierezza di aver trovato il coraggio di opporsi, di tornare a scuola, di poter raccontare alla comunità che la sua storia non deve più ripetersi.
E che direste voi ad una madre e ad un ragazzino che mentre i genitori erano fuori casa ha scambiato la mucca di famiglia – unica fonte di reddito – con un cellulare? I bambini che vanno a scuola qui sono derisi dagli altri che possono passare la giornata a lavorare o fare la carità, per poi comprarsi un telefono tutto loro. Non hanno luce, acqua, finestre, ma si connettono al mondo ricco, che sembra così vicino.
A proposito di lavoro: una mamma ci ha raccontato che un uomo ricco dalla città viene ogni settimana e le porta penne da montare. Riesce orgogliosa ad assemblarne mille ogni giorno, per la gloriosa paga di 40 centesimi di euro.
Sono così tante le storie incontrate, che restano con noi; tanta miseria come mai avremmo potuto immaginare, eppure c’è gioia, colore, sorrisi, gratitudine, intensità in queste vite lontane.
Di cuore, voglio raccontare che ogni celebrazione, onore, ringraziamento, disegno, abbraccio che abbiamo ricevuto va condiviso con ogni singolo sostenitore che ha reso possibile questa fioritura, per ognuno di questi specialissimi bambini, che sento davvero come figli lontani, ed oggi così vicini, reali e splendidi. Continua a sorridere, mia cara piccola Shahannara, non posso che continuare a proteggerti da lontano, raccontando il tuo sorriso. Abbiamo ripetuto più volte, in questi giorni, a questi piccoli: sognate il vostro sogno più grande, noi vi sosterremo.
A te che leggi: ti prego, se puoi, sostieni un bambino a distanza.