Acquasanta Terme, provincia di Ascoli Piceno. Tappa obbligata per chi deve entrare nella zona rossa. Da qui sono passati tutti: Vigili del Fuoco, operatori Sociali, polizia, Stampa, Protezione Civile. Da qui si seguivano minuto per minuto gli avvenimenti che hanno sconvolto le Marche, dal 23 agosto al 30 ottobre.
Rispetto alle altre frazioni è quella che ha subito meno danni, almeno all’apparenza. Ma vivere a lavorare qui è dura: le persone difficilmente vengono a dormire o a cenare nei tanti ristoranti di questa piccolo paesino ai piedi del Vettore. Hanno paura: e come biasimarli? del resto anche l’altra notte qui c’è stata una scossa di 3.6.
Eppure le persone di questo posto sono coraggiose: bar, ristoranti, negozi, continuano ad alzare la serranda tutti i giorni. Ogni giorno vengono a lavorare e aspettano avventori perché Acquasanta deve resistere, deve continuare. Coraggiose come Aida, poco più di quarant’anni e un sorriso contagioso. Gestisce un ristorante, “La Locanda di Aida” appunto, proprio nel centro di Acquasanta.
Casa sua, a pochi metri da li, ha subito danni importanti ma lei è rimasta. Che questo ristorante se l’è tirato su da sola e ci ha investito tutto. Ci racconta dei Vigili del Fuoco e della Protezione Civile, che ogni giorno passavano da lei per un piatto caldo, un caffè. Aida ha aiutato come ha potuto, mettendo a disposizione mani, cuore e cucina. Ha offerto lavoro anche a una coppia di coniugi che hanno perso il loro ristorante/rifugio, sul Vettore. La aiutano in cucina, grazie a lei hanno ricominciato a vivere.
Coraggiose come Paolina. E’ Marcella a parlarmi di loro, l’albergatrice dell’Hotel Acquasanta Terme. Marcella è la maestra del paese: ha insegnato a leggere a far di conto a quasi tutti i bimbi del paese. E’ un po’ un punto di riferimento, tutti la conoscono e lei conosce tutti. E qui inizia una storia che è come una fiaba, una di quelle che fanno paura all’inizio ma insegnano qualcosa e hanno un lieto fine.
C’era una volta una piccola casetta di legno in mezzo a un bosco. Nella casetta, vive una famiglia: madre padre e figlio. Si fatica un po’ a trovarli, sono proprio ai margini della zona rossa. Poco oltre Spelonga, dopo una curva che sembra finire nel nulla, c’è un grande prato coperto di abeti. Loro stanno li, ai piedi del Vettore. E’ Biagio che incontro per primo: un ragazzo alto e ben piantato, mi sorride e mi chiede chi sto cercando. E’ lui a condurmi da Paolina, sua madre.
Ci sediamo attorno al tavolo: un’unica stanza con un grande divano e un tavolo lungo, di legno grezzo. Sul fondo, una stufa economica. Acqua e gas qui sono arrivati solo poco tempo fa. Biagio è un allevatore: produce latte e formaggi e salumi. Insieme ai genitori, è rimasto a vivere qui, in questo borgo lontano da tutto, perché, dice, qui è felice. Poteva entrare nella Forestale e ha rifiutato: questi sono i suoi luoghi, le sue radici. Mi offrono pane formaggio e lonza, parliamo attorno al tavolo come se ci conoscessimo da una vita. Mi dicono che Marcella si è sbagliata, che loro non hanno fatto nulla di speciale No infatti: hanno solo aperto casa a circa 100 persone. Uomini donne anziani e bambini sono arrivati qui e dal 24 agosto fino a fine settembre, hanno vissuto insieme a questa famiglia.
Paolina ha cucinato notte e giorno per tutti: i prodotti della sua terra e dei suoi animali hanno sfamato decine di famiglie che avevano perso tutto. Racconto loro di Ambra, Stella, Beatrice e delle loro famiglie. Li conoscono tutti: prima della Protezione Civile, prima dei Vigili del Fuoco, prima del mondo “esterno”, sono stati loro a tirarsi su le maniche e a aiutare. Una tendopoli nel giardino di casa, bimbi e anziani a dormire sui divani e sul letti di casa, una casa piccola, per 3 persone, che ne ha ospitate 12. Loro tre hanno dormito in una roulotte, nel prato. Paolina parla a occhi bassi, quasi si vergognasse. Continua a dirmi che non han fatto nulla di speciale. Nulla di speciale come la malattia cardiaca che le è scoppiata alla fine di quell’incubo: i medici dicono che si, era latente, ma tutta la fatica e lo stress certo non hanno giovato. Perché in questa casa nessuno si è risparmiato. All’alba del 24 agosto Biagio è andato a scavare fra le macerie di Spelonga, e Pescara del Tronto, e Amatrice.
Non vuole ricordare, mi dice solo che tutti quei morti, tutta quella disperazione ancora gli lavora dentro. Non sono immagini che potrà cancellare, certo, ma ora c’è da lavorare per i vivi, mi dice. C’è da darsi da fare. “Abbiamo fatto quello che andava fatto”, conclude così Biagio. I supereroi vivono in incognito: si travestono da persone comuni, agricoltori, cuochi, maestre. Ci tengono a non apparire, a non farsi scoprire. Ma di Paolina e Biagio ormai sanno tutti. Di questa bella storia, che si è incrociata a quella di tante famiglie, si deve raccontare. Perché se è vero che la storia è fatta di persone, in questa casa nel bosco si sono incrociate tante vite.
Quelli stessi bimbi che ora sono in albergo, hanno dormito in questi prati e mangiato pane e formaggio e lonza, come me oggi. Intorno a un tavolo di legno grezzo, accanto a una stufa economica, hanno scoperto che i supereroi esistono e che si può ricominciare, ricostruire. Che il coraggio non è qualcosa da ostentare, che la forza non è data dai muscoli e che condividere non è generosità, ma un dovere. Saluto Paolina e Biagio, prometto di tornare. E’ solo una casa di legno, nascosta nel bosco, ma è il primo posto dove molte persone hanno ricominciato a sperare.