Come sarebbe stata la sua vita Daniela l’aveva deciso fin da bambina: si sarebbe sposata e avrebbe avuto dei figli e una casa di cui occuparsi. Il suo sogno era una famiglia «felice e normale» come racconta, seduta al tavolo della cucina di un alloggio Aler a Legnano (Milano) sorprendentemente bello. Ogni stanza ha le pareti di un colore diverso e vivace e ci sono foto e disegni appesi ovunque.
Daniela è qui, a rispondere alle mie domande, che ascolta però con un orecchio solo. Perché con l’altro non perde una battuta di quello che sta dicendo Alessandro, il figlio di 15 anni nato, con un gemello, dopo solo 25 settimane di gestazione e gravemente disabile a causa di un’emorragia cerebrale che lo ha colpito quando aveva pochi mesi. Soffre di una tetraparesi che lo costringe sulla sedia a rotelle, è stomizzato e alimentato per via parenterale. Ale, come lei lo chiama, è in compagnia di Claudia Angiulli e Giuseppe Di Sario de L’Albero della Vita. Giuseppe, educatore, si occupa di questa famiglia nell’ambito del progetto Varcare La Soglia.
Insieme ad Ale, nella stanza accanto, sta cantando “Vorrei ma non posto”, la canzone di J-Ax e Fedez che piace tanto al ragazzino e ha un titolo che quasi commuove, se si pensa alla vita che lo aspetta.
«A 14 anni mi sono fidanzata in casa. Dopo 10 mi sono sposata. E dopo 17 mi sono separata, anche se il mio ex marito continua a vivere in questa casa». Daniela riassume così, in poco più di una frase, la sua vita.
Ascolta le mie domande con un orecchio e con l’altro segue la voce di Alessandro, che ora snocciola a Giuseppe i nomi dei suoi quattro fratelli, quasi fosse la formazione di una squadra di calcio: Mattia, Eleonora, Christian, Federico.
«Hanno 23, 21, 17, 15 anni, Federico è gemello di Alessandro, e sono la cosa più bella che ho».
Cominciamo dall’inizio Daniela?
«Sì, iniziamo dai primi anni, quelli in cui ho creduto di vivere la mia fiaba. Ho interrotto gli studi alle magistrali, volevo diventare vigilatrice di infanzia, ma mia mamma si è ammalata di cancro e io sono figlia unica, aveva bisogno di me. Ho fatto la parrucchiera, la baby sitter, l’addetta alla mensa e alla pulizia delle classi in una scuola di Limbiate. Quel ragazzo l’ho conosciuto perché era il fratello di un’amica. Lavorava come autotrasportatore in proprio. Ci siamo sposati il 30 luglio 1994. Il 23 gennaio 1995 nasceva Mattia».
Mattia viene al mondo il giorno successivo la morte improvvisa, per un infarto, del papà di Daniela: «Aveva capito che la mamma non ce l’avrebbe fatta e senza lei si sentiva perduto». La mamma resiste 41 giorni, fino al 5 marzo. «È riuscita a diventare nonna, a vedere il nipotino, a tenerlo tra le braccia».
Dopo Mattia arrivano Eleonora e Christian «e io ho cominciato a capire che le favole finiscono. Il tempo insegna che un conto è essere fidanzatini che si vedono il sabato e la domenica, un conto è vivere sempre insieme».
Non è solo la convivenza a complicare la vita famigliare. «Il vizio mio marito lo ha sempre avuto. Gli piacciono le belle donne e gli piace il gioco. Ma io per anni non ho voluto vedere. C’erano i bambini. Li crescevo da sola. Economicamente ancora ce la cavavamo, e mi rifiutavo di accettare quello che stava accadendo: ho sempre creduto nella famiglia».
Dopo la nascita di Christian la situazione precipita. «Mio marito si era indebitato per acquistare due camion ma non ce la faceva a pagare, un po’ per la crisi e un po’ perché i soldi andavano tutti per le donne e per il gioco». L’attività di autotrasporto fallisce «anche se per aiutarlo sono arrivata a vendere la casa dei miei genitori. Lo perdonavo, lo perdonavo sempre. Volevo salvare il mio matrimonio».
I gemelli, Alessandro e Federico, «sono venuti dopo l’ultimo perdono. Pensavo fosse cambiato. Invece niente, non accettava neppure la disabilità dei bambini». Ale e Federico nascono troppo presto, «eravamo a Rimini al mare». Entrambi a sei settimane di vita sono colpiti da emorragia cerebrale. Alessandro rimane fortemente disabile. Federico ha un ritardo, soffre di una grave forma di autismo, «ma oggi è autonomo: mangia, parla, cammina, si veste da solo».
I due bambini restano in ospedale un anno, dove superano complicazioni molto gravi.
Intanto il marito perde un lavoro che aveva trovato all’aeroporto di Malpensa. Viene licenziato per troppe assenze. «Da allora non ha più fatto niente, non si è mai occupato dei figli, non ci ha mai dato un soldo, non ha pagato l’affitto. Siamo sfrattati da sette anni. Ma avendo un ragazzino in queste condizioni l’ufficiale giudiziario rinvia il provvedimento di sei mesi in sei mesi. Non credo che possano metterci sulla strada ma vivo con quest’ansia. La casa poi non è adatta alle condizioni di Ale. La sedia a rotelle non entra nel bagno, devo prenderlo in braccio io».
Sette anni fa Daniela prova a dire basta. «Mi sono separata quando mi sono spariti tutti i soldi in banca. Lui se ne è andato e io ho conosciuto Danilo, un uomo buono che mi ha dato tutto quello che non avevo mai avuto: un abbraccio, una carezza, una parola. Cucinava, dava da mangiare ad Alessandro, lo lavava, mi aiutava a fare la spesa. Ho chiuso con lui quando il mio ex marito è tornato a casa, dicendo che non sapeva dove andare a dormire. Ho chiuso perché non potevo avere una storia con un uomo e il mio ex marito in casa, non era giusto per i miei figli. Non mi piace che si parli di me».
Daniela stringe i denti. L’ex marito continua con le sue storie, «i soldi li dava tutti a una donna, io non ce la facevo più, sono andata alla Caritas a chiedere aiuto. Un giorno ho preso il telefono e ho chiamato la donna con cui stava: i soldi che togli alla mia famiglia non sono soldi per me ma servono a dare da mangiare ai miei figli, le ho detto. Lei mi ha ascoltato e lo ha lasciato. Lui come niente, ha continuato a non lavorare e a giocare».
Oggi la famiglia vive con l’assegno di accompagnamento dei due bambini e un contributo regionale di sostegno per i disabili. «Dopo la separazione mio marito avrebbe dovuto versarmi 800 euro al mese, ma in sette anni non ho mai visto un soldo».
La vita di Daniela è completamente al servizio di Alessandro, che ha bisogno di assistenza 24 ore su 24. Qualche ora al giorno la aiuta un’infermiera mandata dalla Fondazione don Gnocchi. «Cerco di stimolarlo: l’ho portato all’acquario, a Verbania al lago. Lui vive in un suo mondo, ma sa chi sono io e chi sono i fratelli».
Fratelli che affrontano la situazione ognuno a modo suo. Mattia, il maggiore, ha smesso di studiare e non ha un impiego. Christian ha interrotto la scuola «ma lavora alle giostre e aiuta un muratore perché ha tanta voglia di lavorare e tanta di divertirsi. Torna sempre alle 2 di notte». Eleonora agli studi non ha mai rinunciato: frequenta economia all’università Bicocca di Milano. Federico, gemello di Alessandro, grazie alle sovvenzioni dei servizi sociali è assistito in un centro specifico dove trascorre tutto il giorno.
Come sei entrata in contatto con L’Albero della Vita?
«Sono loro ad avere trovato me» e Daniela, un cuore grande come quello che ha tatuato su un braccio, finalmente sorride. «Io ero diffidente, avevo avuto una brutta esperienza con gli assistenti sociali che volevano ricoverare Alessandro in un istituto. Poi ho incontrato Giuseppe de L’Albero della Vita, una persona straordinaria, è come fosse mio fratello. Giuseppe mi ascolta: quello che nessuno ha mai fatto. Viene una volta ogni otto-dieci giorni. Quando lui è qui sono tranquilla, mi sento bene».
«Daniela è entrata nel nostro progetto perché ha presentato domanda per il Rei, il reddito di inclusione. Nel progetto Varcare La Soglia noi le diamo uno spazio per raccontare quello che prova, esprimere le proprie emozioni e ricostruire gli avvenimenti salienti della sua vita» spiega Giuseppe. «Il nostro obiettivo è sostenerla nel suo ruolo di mamma. Perché possa trovare soluzioni per i problemi della sua famiglia. Individuando, insieme ai figli maggiori, gli obiettivi da raggiungere».
«Mi dicono che sono straordinaria, ma non è così» dice Daniela. «Mia mamma lo era, lei era fortissima. Faceva la chemio, andava in auto all’ospedale da sola, tornava a casa, cucinava, e il giorno dopo era al lavoro. Io sono tanto stanca e volte mi lamento, a volte piango. Poi guardo Ale e dico che devo vergognarmi. Lui sorride sempre, nonostante quello che ha. E’ il suo sorriso che mi dà la forza di andare avanti».
Ce l’hai ancora un sogno Daniela?
«Andarmene. Andare in una casa solo per me e i miei figli. Senza mio marito. E non morire mai, perché quando morirò chi si occuperà di Alessandro?».
Storia a cura di Monica Triglia.
Fotografie di Valentina Tamborra, per il progetto “POVERI NOI – IL RACCONTO DI UN’ITALIA CHE NON SI ARRENDE”, anno 2018.