La storia di Gianni e della sua famiglia corre su binari che paralleli sempre non sono, e a volte si incrociano e si intersecano. È una storia comune ma importante per comprendere che il destino di chi nasce in un quartiere degradato non è irreversibilmente segnato come si pensa. E che può dipendere, e virare, grazie all’aiuto di coloro che ti sono accanto.

Gianni racconta la sua storia e quella del quartiere dove vive seduto nel soggiorno della casa popolare a Ponticelli, periferia est di Napoli, zona con alti tassi di criminalità, dispersione scolastica e disoccupazione. Accanto a lui la moglie Rosaria e Gaia, 9 anni, la più giovane dei tre figli.

Nelle parole di Gianni il brutto e il bello si alternano.

Il brutto: «Sa come nei telegiornali chiamano quest’area? Il triangolo della morte. Perché qui, nel quartiere Ponticelli, e in quelli vicini di Barra e San Giovanni, ci si sfida a colpi di pistola. Le famiglie vivono in contesti disagiati, di camorra, di mancanza di lavoro, di tossicodipendenza, di mogli senza mariti, di bambini senza papà».

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Il bello: «Io e mia moglie siamo pastori evangelici, grazie al nostro impegno in Chiesa riusciamo a entrare con una certa facilità nelle case di tante persone. Cerchiamo di aiutarle, di far capire che un’altra vita è possibile. Alcune di loro ci seguono, si ravvedono».

Gianni e Rosaria parlano alle famiglie di Ponticelli usando le parole giuste. Perché sono parole che nascono dall’esperienza della loro vita.

«Anch’io sono stato un ragazzo difficile» spiega lui. «Famiglia numerosa, 11 fratelli, detestavo mio padre e avevo una vita sregolata». Cosa significa sregolata? Gianni allarga le braccia e risponde solo a metà: «Sregolata tanto. Una gioventù complicata. Poi ho cominciato a lavorare con mio padre che commerciava prodotti contraffatti, giubbini di finta pelle, orologi falsificati. Viaggiavo molto, ero spesso all’estero, dove compravo merce falsa per rivenderla come originale in Italia».

Il binario della vita di Gianni sembra non svoltare mai. Ma arriva Rosaria, una bella ragazza molto religiosa, con una fede forte, «e io, che non sapevo neppure cosa volesse dire pregare, mi sono innamorato» dice con un sorriso.

Lei ha uno sguardo dolce ma è una tosta: «Avevo 18 anni» racconta «sono rimasta incinta, ci siamo sposati ed è nato Ciro. Non avevamo niente e allora abbiamo occupato una casa qui a Ponticelli, un prefabbricato del dopo terremoto che era degrado e disagio e topi. Dove siamo stati sette anni e dove è nata Simona, la seconda figlia. Il 27 settembre 1997, giorno del nostro anniversario, ci è stato assegnato questo alloggio popolare».

Una casa nuova può portare con sé una vita nuova. Rosaria non molla e Gianni si avvicina alla fede: «Sono stato io il primo a stupirmene» ricorda. Anche il lavoro ha una svolta: «Scelgo l’onesto mestiere di agente di commercio».

Insieme, in nome dell’impegno religioso, decidono di dare una mano a chi sta loro accanto. «Qui c’è povertà assoluta e tanta ignoranza» raccontano. «L’arte di arrangiarsi fa sì che di povertà non si muoia, ma nessuno è motivato a crescere e migliorare. Le case sono del Comune e c’è chi si sente autorizzato a fare di tutto, anche a buttare la spazzatura dal balcone. I bambini vanno a scuola ma non sono seguiti, passano ore per strada. Il concetto della lingua italiana non esiste. “Parla italiano chi è di Milano non di Napoli” ci siamo sentiti dire. In dialetto stretto, ovviamente».

Gianni e Rosaria decidono di spiegare l’importanza della conoscenza «perché la penna vale più della pistola», dell’eccellenza e della solidarietà. E qualcosa comincia a muoversi.

Ecco allora che nelle loro parole torna l’alternanza tra il bello e il brutto.

Il bello: «Ora sono più di 15 le famiglie che hanno ripreso a studiare, e parliamo anche di adulti. Ci si aiuta gli uni con gli altri. Un’amica, insegnante di canto, ha organizzato una corale a cui partecipano mamme e bambini. Con altre associazioni evangeliche, e in collaborazione con la Croce Rossa, distribuiamo pacchi alimentari. Perché c’è bisogno pure di quelli. Un esempio: in chiesa da noi viene una donna che lava le scale e fa le pulizie per due euro all’ora. Due euro. Ma con dieci euro al giorno almeno compra qualcosa da mangiare per i figli. E non è un caso unico, ce ne sono tanti».

Il brutto: «Vivere in questo quartiere è difficilissimo. Bisogna fare attenzione a quello che dici, a quello che fai, a chi guardi, a come ti esponi, a come ti muovi. Ci sono situazioni che devi subire, perché non c’è autorità o istituzione che ti aiuti». Spiega Rosaria: «C’è chi gira armato e nessuno interviene. E poi ci sono gli atti vandalici: pesce buttato nella tromba dell’ascensore per provocare un odore insopportabile; botte tra vicini per semplici rumori della vita quotidiana; la gomma tagliata dell’auto se per caso parcheggi appena fuori dal tuo spazio… Cose così, ma è una tensione continua».

E allora perché restate, viene da chiedere. «Perché non abbiamo la possibilità di andare da un’altra parte» risponde Gianni. «Ma anche perché ci sono la chiesa e la sua missione: se molliamo noi mollano tutti».

A mollare, ovviamente, neppure ci pensano. «Da quando siamo arrivati a oggi la situazione è un po’ migliorata. Grazie anche ai murales». Che sono quelli che si vedono dalle finestre, dipinti sugli edifici popolari che si affacciano sul parco Merola (oggi chiamato da tutti Parco dei Murales). Ciascuno racconta un valore,una storia, una realtà del quartiere. Un esempio importante di street art che ha preso il via nel 2015 per iniziativa di Inward, osservatorio nazionale sulla creatività urbana, per portare “un po’ di bellezza” là dove non ce ne era mai stata.

«Arrivano turisti per ammirarli e a volte anche il sindaco» dice Gianni. «E in quelle occasioni il quartiere viene ripulito. Ma è inutile nasconderlo: per le istituzioni Napoli è il centro città. Quello che si fa in questo parco lo si deve alle associazioni. E al contributo di ciascuno di noi».

Per cambiare occorre tempo. Gianni e Rosaria lo sanno. «Se tutti ci impegnassimo, forse in 10-15 anni potremmo avere una vita migliore. Ma abbiamo bisogno di una mano».

E una mano arriva da L’Albero della Vita, che ha aperto a Napoli il progetto “Varcare La Soglia”, di cui è referente locale Luca Borriello, promotore anche del Parco dei Murales.

L’impegno de L’Albero della Vita va ad aggiungersi a quello della famiglia di Gianni e di tanti altri e dà speranza a un quartiere, il Ponticelli, che di speranza non ne ha mai avuta. Un sentimento positivo che si avverte nelle parole di Gianni e Rosaria che, nonni felici grazie ai due figli più grandi, per Gaia sperano però in un futuro lontano da qui. «Già oggi frequenta la scuola, le lezioni di inglese, quelle di danza e la piscina in quartieri diversi. Per lei sogniamo in grande: una laurea, innanzitutto. E un marito onesto che la ami».

Storia a cura di Monica Triglia

Fotografie di Valentina Tamborra, per il progetto “POVERI NOI – IL RACCONTO DI UN’ITALIA CHE NON SI ARRENDE”, anno 2018.

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