Nelle giornate trascorse nel Samburu Central Hospital abbiamo avuto modo di parlare con alcune mamme che ci hanno raccontato la loro storia. Una di queste è Ashaki, 24 anni, ma sembra una ragazzina. Vive nel villaggio di Partuk, a circa un’ora di macchina da Maralal ed è la prima volta che si reca in un ospedale.
Ha uno sguardo dolce e ci sorride spesso.
“Sono stata al centro abitato di Maralal pochissime volte, nel villaggio abbiamo tutto, viviamo di quello che abbiamo: qui sono nata, in una capanna e come fanno tutte le donne della mia tribù, anche io ho partorito i miei primi due figli in casa: Tau ha 4 anni e Ghedi ne ha uno”.
Inizia così a raccontarci del suo lungo viaggio, fatto a piedi e completamente da sola, dal suo villaggio a Maralal per raggiungere l’ospedale.
“Due settimane fa, circa, ho iniziato a sentire i dolori del parto: era troppo presto secondo i calcoli per la nascita, e così, da sola, mi sono messa in cammino verso l’ospedale di Maralal. Alcune donne mi hanno spiegato la strada. Ho viaggiato da sola di notte, ma volevo essere sicura che non accadesse nulla al mio terzo figlio. Sono arrivata a piedi, le donne di solito qui fanno così. Un viaggio durato circa 5 ore con dolori fortissimi che però non mi hanno fermata”.
Ci racconta tutto questo con aria fiera perché sa di aver fatto qualcosa di insolito per le donne Samburu, ma che probabilmente le permetterà di partorire, in sicurezza, suo figlio.
Arrivata in ospedale è stata subito visitata: i dolori che avvertiva Ashaki non erano del travaglio; si trattava comunque di contrazioni ma era ancora troppo presto per far nascere il bambino. Così i medici hanno preferito tenerla in ospedale perché sarebbe stato troppo rischioso dimetterla e farle ripercorrere la strada ancora da sola. Perché questo è quello che sarebbe certamente successo.
“Qui condivido il letto con un’altra donna che ha appena partorito” ci racconta Ashaki.
“Nell’ospedale ci sono in tutto 18 posti letto e siccome ogni giorno arrivano molte donne a partorire i posti non bastano, così ci mettiamo, con le nostre coperte, in due e dividiamo il letto. Noi Samburu abbiamo la nostra tipica coperta da “guerriero”, che ci dà forza e coraggio, e ci basta”.
Ashaki ci racconta anche che a casa la sua famiglia la sta aspettando: non hanno potuto accompagnarla perché hanno il bestiame a cui badare. Suo marito, appena riesce, viene a trovarla ma sa già che quando avrà partorito rientrerà da sola. Qui le donne fanno così, è normale.
“Al mio rientro nel villaggio racconterò sicuramente ad altre mamme l’importanza di partorire in ospedale perché ancora oggi quasi tutte le donne partoriscono in casa. È importante per la salute delle mamme e dei bambini. Qui ci sono i medici e le ostetriche che ci accudiscono e, se qualcosa non va, possono aiutare i nostri bambini.”
Come è accaduto a Dara: suo figlio è nato talmente piccolo che è nell’incubatrice da 2 settimane. Oppure a Shani che ha avuto un parto davvero complicato a causa della mutilazione genitale che ha subito a sole due settimane dal parto. In Samburu si crede che se il bambino sarà un maschio e la mamma non ha ancora subito la pratica, non sarà di buon auspicio per il bambino. Così la madre, pur di non mettere a repentaglio la vita di suo figlio è disposta…
Conclude dicendoci che gli manca molto la sua famiglia “anche se qui mi trovo bene con le altre donne e con le ostetriche”. Sorridendoci poi ci guarda e aggiunge “Vorrei avere 5 figli”. Noi pensiamo che sia una fortuna che abbia “scoperto” l’ospedale di Maralal e ci auguriamo che sempre più donne come lei, possano partorire in maniera più consapevole, sicura e assistita.