Andrea costruisce case. Andrea costruisce case con i geomag, una sorta di lego magnetico. Ci gioca ogni giorno, dopo quella notte.
Costruisce case immaginarie, le smonta e le rimonta, con una forma sempre diversa perché, dice, devono poter ospitare tutti: mamma, papà, cugini, nonni, amici e anche il gatto, che non ha, ma non si sa mai. I lego, quelli normali, le sue costruzioni fatte assieme a papà, sono rimaste in casa.
Quella stessa casa che è una delle poche rimaste in piedi ma comunque inagibile. “I miei lego terremotati”, li chiama lui. Mi porta a vederli. Sono crollati a terra dalle mensole, e sono scomposti in mille pezzi. Insieme ai lego, piatti, tazze, bicchieri, foto di famiglia. La lavastoviglie è ancora piena, nessuno è tornata a svuotarla. Nelle case rimaste in piedi, il senso di vuoto, di inatteso, se possibile, è ancora più grande.
Tracce di vita vissuta, di quotidianità sospesa. Andrea mi dice che l’unica cosa che vuole davvero è tornare a casa, e giocare con i suoi lego insieme agli amici, ma tranquillo. Sottolinea. Tranquillo. Tranquillo è l’esatto contrario di come appare il padre di Andrea, Paolo. Paolo è un muratore: si muove fra il giardino di casa e l’orto, irrequieto. Guarda al di là dell’inferriata, dove stanno costruendo le casette di legno.
Ironia della sorte: le costruiscono proprio davanti a casa sua. Hanno detto che verranno pronte entro luglio, ma Paolo non ci crede. Vorrebbe dare una mano, vorrebbe lavorare, lui che casa sua se l’è messa su da solo, ma non può. Vorrebbe poter costruire la casa che ospiterà lui e la sua famiglia, ma c’è un’impresa che va a rilento e non offre possibilità neppure a chi potrebbe davvero fare la differenza.
Nel suo sfuggire a me, alle fotografie, agli sguardi, si vede tutta l’angoscia di un uomo costretto a stare con le mani in mano. Cristina, sua moglie, è il sorriso della famiglia. Lei è una resiliente, una di quelle che a partire dal 24 agosto, si è data anima e cuore per il suo paese. Ha aperto casa a tutti quelli che una casa non l’avevano più. Certo, dentro non ci si poteva dormire, ma almeno l’acqua c’era , e i più anziani potevano trovare un po’ di refrigerio e non dormire in auto, o nelle tende roventi. Cristina ha cucinato per tutti, si è data senza risparmiare nulla.
Ha riscoperto la vicinanza di un paese, ma soprattutto l’aiuto vero quello che viene da chi non ti aspetti. Mi dice che qualcuno l’ha fatta anche sentire in colpa per la sua “fortuna”: del resto tu hai casa ancora in piedi! Ma lei mi spiega che forse è anche peggio. Perché sa che li dentro, non ci tornerà più. Perché arriverà una ruspa che con morsi lenti distruggerà ciò che è rimasto. Eppure Cristina, nonostante tutto, ama il Vettore.
Quella montagna imponente e meravigliosa, sotto la quale Pretare si distendeva, piccolo borgo caratteristico dell’entroterra marchigiano. E’ il suo posto questo, e ci vuole tornare. Sorride Cristina, sorride davvero, con gli occhi. Ed è la sua energia che contagia anche Andrea, e Paolo, perché anche loro, nonostante la paura, vogliono tornare. Tornano almeno una volta a settimana al paese, lo “vivono”, lì dove possono Insieme: è la parola magica.
A un anno dal disastro, mi dice Cristina, la loro vita è cambiata certo, ma si è anche riempita di persone meravigliose: I ragazzi dell’Albero della Vita, che hanno seguito Andrea aiutandolo a “uscire dal guscio” dove si era rinchiuso, a dare un nome alle emozioni, a capire che ciò che viene distrutto si può ricostruire anche più bello e grande di prima.
E poi i Vigili del Fuoco, i ragazzi della Protezione Civile, i volontari arrivati da Modena ad aiutare….volti, nomi, persone sconosciute fino a ieri che sono arrivati sino a qui, in questi piccoli borghi, per dare una mano, perché insieme è più facile.