Samuele detto “Orsetto Polare” (il motivo non è chiaro, ma è un nomignolo che gli ha dato Andres, uno degli educatori dell’Albero della Vita) scende dall’auto di corsa e mi viene incontro. Mi mostra la macchinina arancione e mi dice che Baffetto l’ha lasciato a casa.

Lo dice con l’aria di chi da per scontato che chiunque sappia di cosa sta parlando. Si perché Baffetto è stato il suo compagno inseparabile per mesi, dopo quella maledetta notte. Un leone di peluche “grande come un bambino di tre anni”,mi spiega, mimando con le mani la dimensione. Enza sorride, mi spiega che è un buon segno, che Baffetto era un po’ quello a cui si era attaccato Samuele per reagire.

Enza, Dino e Samuele: all’appello manca solo Ilaria, la figlia più grande, rimasta a casa a studiare. Ha la maturità e si sta impegnando per superarla al meglio: è una ragazza forte, forte come la famiglia dalla quale proviene.

“C’è cambiata la vita da un momento all’altro, ho perso tutto, il mio paese d’origine e quello dove vivevo”.

Siedono davanti casa, lo sguardo si perde nei ricordi. Dietro di loro una crepa sul muro, che arriva sino alle fondamenta, racconta ciò che è accaduto. La notte del 23 agosto questa famiglia non ha perso solo casa. I genitori di Enza sono rimasti sepolti dalle macerie, il padre, dopo 15 giorni di agonia, non ce l’ha fatta. Dino ha aiutato a estrarre corpi da sotto quel che rimaneva delle case, notte e giorno, instancabile, per cercare un segno di vita, una voce che rispondesse ai richiami.

Samuele la sua casa distrutta - Storie del terremoto

Ti aspetti che questa famiglia sia spezzata, piegata da un dolore profondo. Quello che invece vedi, negli occhi di tutti e tre, è un’immensa voglia di reagire. Samuele e Enza insistono per fare un giro in quel che resta del paese. Orsetto Polare mi prende per mano e mi porta a vedere la piazza dove giocava a “Acchiapparella”.

Enza mi descrive la “Festa Bella”, un evento che si tiene ogni tre anni a Spelonga. Camminiamo per le vie di una città fantasma ma nei loro occhi brilla il ricordo, e la speranza. La forza di questa famiglia la vedi nelle piccole cose: in Samuele, che vuole tornare a vivere a Spelonga, solo magari in una delle casette di legno, che è più sicura, come dice lui “almeno non mi cascano i sassi addosso”, in Enza che mi parla di quando ricostruiranno, in Dino che racconta degli alberi da frutta e dell’orto che amavano coltivare.. Poco prima di salutarci, Samuele insiste per farmi vedere la sua bicicletta.

Corre verso casa, quella che era casa, e prova ad aprire il box: è preso dall’entusiasmo e per un attimo dimentica dove siamo e compie il gesto più naturale del mondo: prova a girare la maniglia, a entrare. E’ solo in quel momento che vedo i suoi occhi vispi velarsi un po’: si blocca, torna indietro.

Raccoglie la macchinina “sarà per la prossima volta magari, ci vediamo domani, alla Domus”. Risaliamo in macchina, ci salutiamo. Spelonga rimane alle nostre spalle, in lontananza il rumore dell’escavatrice: i Vigili del Fuoco stanno demolendo le case pericolanti, presto di questo paese non resterà più nulla. Samuele si volta a farmi un saluto da dietro il finestrino dell’auto. Sta sorridendo di nuovo: lui guarda al futuro, e io penso alle parole di De Gregori “è un ragazzino che canta, ride e stona perché vada lontano, fa che gli sia dolce anche la pioggia delle scarpe, anche la solitudine…

Valentina Tamborra

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