Descrizione Progetto

Approfondimento sul contesto dei centri di detenzione governativi libici e i risultati del progetto

Il Centro di Tarek Al Matar: le condizioni in cui vivono i migranti detenuti

Tarek al Matar è uno dei 33 centri di detenzione governativi libici. Una struttura alle porte di Tripoli, nei pressi della strada che porta all’aeroporto della capitale. Il centro è attivo dall’agosto 2016 ed è gestito dal Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale (DCIM). Il Dipartimento dipende dal Ministero dell’Interno libico, che tuttavia ha poca autorità o controllo sui centri, lasciando largo margine per abusi e violazioni dei diritti umani. È doveroso sottolineare una sostanziale differenza tra questi centri in capo alle autorità libiche e i centri illegali gestiti dalle milizie, dove non c’è nessuna possibilità di controllo sulle condizioni di detenzione dei migranti.

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Gli operatori locali nelle prime visite al centro, durante la fase di formulazione del progetto, hanno riscontrato condizioni di detenzione ancora molto lontane dagli standard umanitari internazionali.

Il centro può contenere fino a 3000/4000 persone. Il flusso di migranti però è molto variabile, di settimana in settimana, aumentano o diminuiscono le persone presenti. Ci sono 7 stanze e uomini e donne sono separati, 3 stanze con latrine e un cortile sono destinate agli uomini; le restanti 4 con altrettante latrine e un altro cortile sono per le donne e i bambini. I materassi sul pavimento sono i loro letti.

Un progetto realizzato dal consorzio di ONG italiane CEFA, CIR Consiglio Italiano per i Rifugiati e Fondazione L’Albero della Vita, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. 

I detenuti ricevono tre pasti al giorno, forniti da un’impresa esterna, si tratta di cibo poco nutriente che non riesce a soddisfare il fabbisogno calorico delle persone detenute, inoltre a causa del sovraffollamento le razioni sono molto scarse e mancano stoviglie. La situazione è particolarmente difficile per le madri con bambini lattanti. I neonati e i bambini fino a due anni hanno bisogno del latte in polvere, poiché molte donne non hanno abbastanza latte perché malnutrite. Oltre al cibo mancano i materassi e i vestiti, scarpe e coperte e altro abbigliamento invernale. I migranti inoltre non hanno accesso regolare all’acqua potabile.

Le latrine non erano in condizioni dignitose, senza le porte e senza l’acqua calda. L’assenza di un sistema di ventilazione e le frequenti interruzioni di elettricità (soprattutto durante le giornate più calde la temperatura raggiunge anche i 45°) contribuiscono ulteriormente a peggiorare l’ambiente e le condizioni di vita dei migranti.

Le condizioni di salute dei detenuti sono monitorate molto superficialmente al loro arrivo nel centro, tuttavia molte persone necessitano di cure specifiche per problemi cronici quali il diabete, o la pressione alta, ma anche per problematiche insorte lungo il loro viaggio (problemi alla pelle, problemi di vista o di udito). Non meno urgente è l’assistenza piscologica, di cui hanno bisogno adulti e bambini dopo i traumi subiti durante il lungo viaggio.

Pur essendo di nazionalità diverse e avendo tutti la loro particolare storia, i migranti sono accomunati da un’esperienza di viaggio estremamente difficoltosa e traumatica. Tanti sono consapevoli dei rischi che comporta arrivare in Libia, dove l’immigrazione è considerata un reato, tuttavia sono pronti a correre il rischio. All’interno del centro non ci sono né la connessione internet, né un servizio telefonico. Solo se i migranti sono in possesso di un telefono, e se hanno il credito sufficiente, possono mettersi in contatto con i loro cari. Sono i responsabili del centro, a volte, a prestare i propri cellulari per far comunicare i migranti con le loro famiglie.

Non ci sono televisioni, o giornali, l’isolamento di queste persone è spezzato dalle visite degli operatori delle ONG, delle agenzie Onu e dei rappresentanti delle ambasciate dei paesi di provenienza. Questi ultimi supportano i migranti per le pratiche per il ritorno volontario.

Il ritorno volontario nel paese di origine è una delle opzioni offerte ai migranti per uscire dai centri di detenzione, generalmente è gestita dall’IOM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) che si coordina proprio con le ambasciate nazionali ed è una pratica che può durare alcune settimane.

In alternativa le opzioni che le persone hanno per uscire dai centri di detenzione sono:

  • l’espulsione in Paesi con i quali la Libia ha istituito accordi formali, per esempio l’Egitto;
  • lo spostamento in Paesi Terzi gestito dall’UNHCR, che purtroppo viene preso in considerazione solo per casi particolarmente vulnerabili;
  • la possibilità di rimanere legalmente in Libia per ragioni lavorative, questo può accadere solo se c’è un’esplicita richiesta di forza lavoro da parte di datori di lavoro libici.

Il progetto: descrizione e risultati raggiunti fino ad oggi

A fronte di questa situazione e spinte dalla volontà di fornire assistenza alle persone detenute, le ONG del Consorzio hanno avviato a gennaio 2017 il progetto “Sostegno ai migranti del centro di Tarek al Matar e alla comunità ospitante con l’obiettivo primario di contribuire a migliorare le condizioni di vita dei migranti più vulnerabili del Centro Tarek Al Matar, soprattutto donne e bambini e a migliorare i servizi di salute materno – infantile della comunità ospitante attraverso il sostegno all’ospedale Tripoli Medical Center.

L’intervento ha avuto una durata di 7 mesi e si è concluso a fine agosto 2018.

Il Consorzio, in collaborazione con l’associazione IOCS, ha strutturato attività volte da un lato a portare aiuti umanitari indispensabili per la popolazione del centro di detenzione con:

  • distribuzione di cibo e beni di prima necessità,
  • ristrutturazione dei servizi igienici, che versavano in condizioni non dignitose e
  • assistenza psicosociale per i soggetti più vulnerabili.

Sono state eseguite 25 distribuzioni di kit igienici e di cibo, per un totale di 550 kit igienici, 910 pacchi di biscotti e circa 1777 kg di legumi.

Per i bambini, sono state distribuite 60 scarpe, 60 vestiti, 97 kit igienici specifici per bambini.

I bagni del centro sono stati oggetto di manutenzione (terminata in data 25 giugno) e si è costruito un extra bagno; si è acquistata una caldaia. Di questo intervento ne hanno beneficiato 1771 persone di cui 51 bambini.

Dall’altro lato l’intervento ha interessato le persone coinvolte nella gestione del centro in attività di formazione, con la convinzione che per ottenere un cambiamento effettivo è necessario coinvolgere, ad ogni livello anche gli attori libici, come i responsabili del centro, guardie, funzionari, personale di progetto per supporto psicosociale.

Cefa si è occupata di formazione sui diritti umani e risoluzione di conflitti; Fondazione L’Albero della Vita di protezione dei minori e di resilienza lavorando con tre persone che compongono lo staff tecnico di progetto.

Tra il 20 e il 23 marzo 2018 si sono svolte le prime formazioni su “Principi e standard nella child protection” e “Resilience”, realizzate sotto il coordinamento di Fondazione L’Albero della Vita con formatrici dell’Unità di Ricerca sulla Resilienza dell’Università Cattolica di Milano. In questa fase si è deciso di concentrarsi sulla formazione del personale di progetto. I beneficiari del progetto sono stati gli operatori di progetto responsabili delle attività psico-sociali e alcuni membri dell’associazione libica Essafa, partner di progetto. La formazione si è incentrata sul modello d’intervento formativo “Tutori di resilienza”, ruolo che gli operatori hanno successivamente svolto nel centro di Tarek El Matar, nelle attività di supporto psicosociale, in particolare con i minori.

Tra il 2 e il 7 luglio 2018 si è svolto il secondo ciclo di formazioni su “Risposta d’emergenza sulla protezione dei minori” realizzate nuovamente sotto il coordinamento di Fondazione L’Albero della Vita. La formazione è stata realizzata dalle stesse formatrici dell’Unità di Ricerca sulla Resilienza dell’Università Cattolica di Milano che avevano già animato il primo ciclo. La formazione è stata composta da fasi diverse, alcune dedicate solo al personale di progetto e altre alla presenza sia del personale che delle guardie del centro e dei membri dell’associazione PSSTeam. La parte dedicata solo al personale si è concentrata sulla valutazione dell’operato fino a al momento della formazione e alla definizione di buone pratiche, nonché una parte di formazione sull’case management. La parte dedicata anche alle guardie ha visto il personale di progetto impegnato insieme alle formatrici nell’esposizione dei “Principi standard nella child protection” e nella spiegazione sulla “Resilience”, che erano già stati trattati nel ciclo precedente.

Alla formazione hanno partecipato anche membri dell’associazione locale PSS Team, associazione che è stata coinvolta nel progetto dopo che l’associazione Essafa non ha potuto mantenere l’impegno preso di lavorare sul progetto ed è stata sostituita da PSSteam.

Infine una terza componente del progetto ha interessato il Tripoli Medical Centre, struttura ospedaliera della capitale afflitta da una pesante carenza di medicinali e apparecchiature mediche e diagnostiche. Tale carenza si ripercuote non solo sulla salute dei migranti, che in caso di emergenza vengono portati li, ma anche sulla salute della popolazione cittadina e di tutte quelle persone provenienti da altre regioni, e che solo a Tripoli possono auspicare di trovare strutture sanitarie adeguate.

In particolare il progetto ha fornito presidi medici ginecologici (garze, forbici e cesoie mediche, fili per suture, siringhe, un elettrocardiografo, due cateteri, due ecografi, quattro monitor fetali, strumenti chirurgici per episiotomia) per il reparto materno-infantile, che ospita ogni giorno 400 donne ospedalizzate e fornisce diagnostica e follow up neonatale, e nel mese di luglio distribuirà ulteriori presidi medici e medicinali.

E’ stato firmato un MOU con IMC (International Medical Corps). Questa associazione ha fornitor i servizi medici mentre il Consorzio ha fornito il seguente equipaggiamento: elettrocardiografo, sonda ecografica, monitor fetale, poltrona ginecologica, letto ospedaliero e letto per il parto. È stata inoltre acquistata un’ambulanza per il trasporto urgente dei migranti negli ospedali.

Nel periodo 23/01/2018-25/06/2018 sono stati distribuiti: garze, forbici e cesoie mediche, fili per suture, siringhe, un elettro cardiografo, due cateteri, due ecografi, quattro monitor fetali, strumenti chirurgici per episiotomia. Nel periodo 26/06/2018-22/08/2018 sono stati consegnati: 200 pacchi di Diclofenac da 75 mg, 80 pacchi di Ondansteron, 80 pacchi di Buscopan, 170 pacchi di Oxytocin, 110 pacchi di Prostaglandin, 40 pacchi di Neostigmine, 100 pacchi di Methergine, 100 pacchi di Onstasteron, 200 pacchi di Adalat, 100 pacchi di Plasil.

Con cadenza bisettimanale (a partire dal 2 aprile) sono state realizzate attività volte al sostegno psicosociale ai soggetti più vulnerabili, in particolare ai bambini e alle mamme (sono state coinvolte 36 madri con 51 bambini).

Tali attività vengono svolte sia all’aperto, nel cortile del centro, sia in uno spazio coperto, un child friendly space, appositamente realizzato dal progetto. Si tratta di uno spazio attrezzato con giochi, giocattoli, materiale per attività artistiche nel quale i bambini si sentono protetti e possono giocare.

A partire dal terzo di questi incontri di gioco, gli operatori in loco hanno registrato un considerevole aumento della partecipazione dei bambini e delle loro mamme nelle attività, assumendo essi stessi un ruolo attivo e propositivo.

A quest’ultima attività è strettamente legato il lavoro di formazione per il personale di progetto e per le guardie del centro, svolto con la collaborazione dell’Unità di Ricerca sulla Resilienza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Invece di focalizzarsi solo su problemi e fragilità e sulle modalità per compensarle, è importante guardare a risorse e punti di forza e riflettere su come impiegarle e valorizzarle” Questo il cambiamento di prospettiva suggerito e attuato dalle psicologhe del RIREs durante gli incontri a cui hanno partecipato 36 madri.

Il monitoraggio del progetto è avvenuto tramite il coordinamento costante e quotidiano tra il capo progetto e il personale in loco. Inoltre lo staff in loco ha compilato rapporti periodici (settimanali o bisettimanali) rispetto alle attività realizzate. Rapporti puntuali sono anche preparati in occasione delle visite al centro, indipendentemente dalla natura dell’attività svolta. Un formato standard è stato regolarmente compilato per aggiornare la situazione del centro (es. numero di persone presenti secondo la categoria e la nazionalità, segnalazione di particolari vulnerabilità, segnalazione della presenza o assenza di servizi, etc.).

Queste informazioni sono state condivise regolarmente con l’ufficio dell’AICS Tunisi. L’ufficio è stato anche informato tempestivamente in occasione di eventi di particolare rilevanza.

PROGETTO TERMINATO