Un mese prima del parto papà e mamma avevano deciso il nome. Dopo aver radunato nella loro baracca di lamiera e calce gli anziani genitori, gli zii e un indefinito numero di cugini, tra un tè alla menta e un dolcetto con i datteri avevano raccolto le preferenze di ognuno di loro. In poco tempo ne avevano trovati due bellissimi: Souvik, che significa “mago” in lingua bengalese, se fosse stato un maschio.
Deepa, ovvero “luce”, se fosse nata una bella femminuccia. Il giorno tanto atteso arrivò ma non fu per niente incantato. Souvik, infatti, era nato con una lesione al cervello. E appena fu chiara a tutti la gravità della paralisi, l’entusiasmo iniziale si trasformò in dramma. Qualche giorno dopo i due neogenitori tornarono con il piccolo nel loro villaggio del Bengala Occidentale, ma non trovarono anima viva ad aspettarli. La famiglia, insieme a tutta la loro comunità, sospettava che quella coppia fosse stata colpita dal malocchio e, come spesso accade in molti villaggi dell’India, aveva deciso di ripudiarla, abbandonandola al proprio destino.
Souvik, intanto, cresceva e aveva sempre più necessità di cure specialistiche ma in casa non c’erano abbastanza soldi; lei casalinga e lui carpentiere a cottimo non potevano permettersi nemmeno la visita di un dottore generico.
Dopo quasi due anni il piccolo non riusciva a tenere la testa dritta ed era costretto a vivere sdraiato, “bloccato” su un materassino di paglia in una stanzetta senza luce. In una famiglia prosciugata dalla disperazione, dagli occhi di sua madre non sgorgava più una sola lacrima. Tutto sembrava perso.
Souvik fu registrato al centro in una calda mattina di maggio e cominciò subito le cure. Gli operatori diedero un nome alla sua malattia, la paralisi cerebrale infantile, gli somministrarono delle vitamine e cominciarono la fisioterapia. Poi ottennero da un ospedale pubblico un paio di scarpe correttive e insegnarono alla madre gli esercizi da fare a casa.
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Souvik, il piccolo mago è la storia illustrata che descrive il progetto di sostegno a distanza in India “SAD“ de L’Albero della Vita
Un giorno, per caso, la mamma venne a sapere dell’esistenza di un centro dove si prendevano cura dei bambini come Souvik. Era a molti chilometri da casa ma non le importava. In quel momento ebbe la sensazione che un vento caldo le stesse entrando in ogni alveolo dei polmoni fi no a sollevarla a mezz’aria. Sarebbe arrivata anche sulla luna.
Prese in braccio il suo bambino e dopo diverse ore arrivò stremata al Day Care Center di Baruipur, la struttura sostenuta da L’Albero della Vita dove 50 bimbi con disabilità fi sica e mentale vengono nutriti e curati adeguatamente.
Grazie a quella seconda famiglia i muscoli del bambino cominciarono a crescere e a svilupparsi. E, poco alla volta, a sorreggerlo. In pochi mesi il piccolo mago fece un numero che lasciò tutti a bocca aperta: aggrappato al braccio della mamma, riuscì a muovere i suoi primi passi.
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