I loro disegni raccontano la guerra vissuta, la morte delle persone care, la solitudine dell’abbandono del proprio paese, la paura di un viaggio che è un’incognita.

Ma cosa aiuta i bambini siriani, in fuga dagli scontri, a ripartire, a non impazzire dopo tutte le terribili esperienze passate, dai giorni sui barconi traballanti ai mesi dentro le prigioni o nei campi profughi? La famiglia, la fede, una speranza in se stessi e nella possibilità di avere una vita migliore.

Sono i risultati di una ricerca nata dalla collaborazione tra Fondazione L’Albero della Vita onlus e l’Università Cattolica. Obiettivo di questa indagine, condotta è stato quello di promuovere la resilienza nei bambini nel contesto di migrazione forzata, la capacità cioè di rielaborare i traumi trasformandoli in risorsa personale per il proprio futuro, per studiare buone pratiche di lavoro che aiutino i bambini a stare meglio, allontanando le paure. E proprio le paure non mancano, create dai ricordi della guerra, dall’arrivare in un altro paese e molto altro ancora.

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In questi mesi abbiamo accolto circa 5.913 bambini nei nostri laboratori, numeri schizzati in alto durante l’ultima estate.

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Sono altissimi i numeri degli arrivi via mare. Si tratta di bambini piccoli, che spesso non hanno visto i libri, non sono mai andati a scuola, non hanno mai giocato sicuri. I tre anni di guerra hanno distrutto il loro paese.

Nell’ottobre 2013 molti profughi siriani sono arrivati in massa a Milano, un esodo che non si è mai fermato. La città li ha accolti in strutture delle organizzazioni non profit, con un impegno senza pari dei cittadini.

L’Albero della Vita ha aperto due laboratori in queste strutture, per dare una mano ai piccoli a ritrovare la loro quotidianità, un luogo dove giocare e superare i traumi, un luogo tutto loro dopo mesi di viaggio tra adulti e sconosciuti.