Trasformare la curva all’ingiù di un broncio triste e pauroso nella piccola parentesi all’insù di un sorriso spontaneo. È ciò che fanno ogni giorno, con tutte le energie di cui dispongono, le educatrici di ZeroSei. In questa grande casa, coloratissima e allegra, arrivano bambini fragili e traumatizzati, che hanno avuto un inizio della vita molto simile a una burrasca che ha rischiato di travolgere le loro fragili zattere.
Quando entrano nella casa hanno occhi fissi, assenti, disconnessi. Non hanno idea di cosa sia la fiducia né una famiglia, perché hanno madri e padri lontani, fuggiti o rinchiusi, madri spesso incoscienti, non ancora pronte per le responsabilità, che li hanno abbandonati a sé stessi, all’incuria, spesso maltrattandoli. Questi bimbi non piangono solo per un capriccio o per un ginocchio sbucciato mentre giocano, ma perché sentono che è stato negato loro il diritto all’infanzia.
I primi tempi a ZeroSei, Lorenzo fissava per ore la ringhiera del balcone. Aveva vissuto in carcere con la mamma fino ai due anni e nelle sue giornate si era abituato a vedere solo sbarre e grigiore e a sentire voci dure, severe, che danno ordini. Quello era il suo concetto di casa e di famiglia. Addirittura chiamava “papà” una delle guardie carcerarie.
Non è stato semplice restituirgli una vita a colori ma gli educatori hanno cominciato con lui un percorso di crescita graduale e di ascolto, osservando i suoi comportamenti e pensando nel dettaglio ogni attività per dare un nome alle sue paure e per attraversarle.
Come fanno con tutti gli ultimi arrivati, lo hanno portato nella sua nuova cameretta e gli hanno mostrato dei tubetti delle tempere dai colori accesi e luminosi. “Scegline uno. Con questo dipingeremo tutti i muri della tua stanza!” gli hanno detto, scorgendo nel suo sguardo una prima lieve scintilla, il segnale che quel cuoricino infreddolito si sarebbe potuto scongelare.
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Una Vita senza Sbarre è la storia illustrata che descrive il progetto di accoglienza per bambini da 0 a 6 anni “ZeroSei“ de L’Albero della Vita
Lorenzo ha imparato a conoscere le carezze e la dolcezza delle educatrici che, poco alla volta, nei suoi ricordi hanno preso il posto delle percosse della mamma quando era in preda a una crisi di nervi. Ha sperimentato la normalità del bacio della buonanotte e quella dei pomeriggi trascorsi a giocare e a disegnare con gli altri bambini. Ha potuto sentirsi accudito quando aveva la febbre alta e libero di esplorare le sue capacità e la sua fantasia dando nomi e ruoli meravigliosi ai suoi pupazzi.
Il nostro piccolo ometto adesso ha quattro anni ed è pronto per raggiungere la meta finale del suo percorso: una famiglia. Quella di origine, se sarà possibile e se la madre supererà i suoi problemi con le droghe, o una nuova, grazie al progetto di affido. In ogni caso sarà un posto dove potrà essere accolto e trattato con amore. Il posto dove essere felice.
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